PONTASSIEVE – “Mi hanno portato al campo di prigionia in un treno. Un viaggio di quattordici giorni in cui ci hanno dato da mangiare solo tre volte. Al campo ci chiedevano se eravamo per Badoglio o per Mussolini. I primi venivano bastonati, i secondi venivano vestiti da tedeschi e mandati al fronte”. Le parole sono di Basilio Pompei, ex internato militare italiano e autore, insieme Elio Materassi e Antonio Ponzalli (anche loro ex internati militari che oggi non sono più in vita), del libro “Diari di Guerra e di prigionia”, che ier sera al Comune di Pontassieve, a 20 anni di distanza dalla pubblicazione, è stato ripresentato.

La locandina dell’evento
All’evento, organizzato per la giornata della memoria, oltre al 95enne Basilio Pompei, erano presenti anche l’assessore comunale Leonardo Pasquini, il figlio di Elio Materassi, Orlando Materassi e il consigliere ANED Stefano Gamberi. Per l’ANEI Firenze ha parlato Marco Grassi e infine tra i relatori anche l’antropologo e autore dell’introduzione del libro Paolo De Simonis. “Siamo a ricordare il giorno della memoria utilizzando un particolare sistema, quello di avere una testimonianza diretta, che fra alcuni anni non potremo più utilizzare – ha detto Leonardo Pasquini – Per questo ci dobbiamo preparare negli anni a tramandare questi concetti anche attraverso i libri, strumento fondamentale”.
Il racconto di Basilio Pompei. Nella gremita Sala delle Colonne del Palazzo Comunale, in silenzio è stato ascoltato il racconto dell’autore ancora in vita. “Siamo stati numerati e spediti nelle varie fabbriche. Nella fabbrica dove ero io lavoravamo dodici ore al giorno e mangiavamo pochi capi di rapa. Chi si dichiarava per Badoglio subiva bastonate e punizioni. Un giorno dissi al capo reparto che ero malato e quando fui mandato dal dottore invece di rimandarmi al lavoro mi mandò in un campo a finire i giorni, ma quella fu la mia fortuna. Dio volle che mi ripresi un po’ e dopo tre mesi che ero lì tornai a lavorare, ma non nella stessa fabbrica. Mi salvai perché i tedeschi decisero alla fine della guerra di farci passare da lavoratori e mandare le sentinelle al fronte. Ci diedero un tesserino che serviva sia per entrare in fabbrica che come biglietto del treno. La mia liberazione è stata questa qua, mi è andata bene e sono sopravvissuto”.
Il ricordo di Elio Materassi. Dopo che il consigliere comunale Stefano Galli ha letto tre lettere di Elio Materassi spedite negli anni della prigionia ai propri familiari, il figlio Orlando ha parlato del padre, che è mancato lo scorso anno: “Queste lettere denotano il carattere di mio padre. Cercava di rassicurare, in questi documenti dice sempre che sta bene, anche se nelle stesse lettere si percepisce la richiesta di aiuto. Mio padre mi ha insegnato l’impegno civile e i suoi sentimenti li portava all’interno della società. Lui ha anche avuto l’opportunità di rivedere i posti in cui è stato prigioniero ma si è sempre rifiutato di tornarci, ma quando i suoi nipoti vollero vederli li aiutò a fare ricerche su internet per fargli vedere dove sono quei luoghi”.

Durante l’incontro. Da sinistra: Paolo De Simonis, Stefano Gamberi, Stefano Galli, Leonardo Pasquini, Basilio Pompei, Orlando Materassi, Marco Grassi
Il giorno della memoria. Le memorie paradossalmente sono arrivate da molto poco e in tempi recenti è stato possibile aumentare quei diari che oggi formano quella memoria che ogni 27 gennaio – giorno della liberazione del campo di Auschwitz – è fatta di cerimonie, testimonianze e immagini. “La memoria è arrivata abbastanza tardi e soltanto negli anni 90 si è creata una condizione di ascolto possibile. Le istituzioni poi hanno avuto il ruolo di trasmettere e investire in memoria, da qui il giorno della memoria che è diventata una legge” ha affermato l’antropologo Paolo De Simons che nel 92′ curò l’introduzione del libro. “La memoria dobbiamo coltivarla per 365 giorni e non solo oggi – ha detto Marco Grassi – bisogna attualizzare queste storie e queste vicende e ricordarci che ogni volta che qualcuno è discriminato, ogni volta che vogliono limitare le nostre libertà costituzionali e ogni volta che ci sono violenze sui più deboli dobbiamo vigilare perché queste cose si ripetano”.
Scuola, famiglia e amministrazioni. Uno dei concetti maggiormente espressi e sottolineati è la memoria come strumento per evitare che tutto riaccada, ma come si può fare, anche in Valdisieve, per mantenere alta l’attenzione e ricordare le tragedie che la storia ci ha consegnato? “In Valdisieve negli anni 90′ si iniziava ad organizzare i pullman di ragazzi e studenti verso i campi di stermino – dice Gamberi – e il Vicepresidente dell’ANED Tiziano Lanzini, ha iniziato un progetto per chiedere dei finanziamenti europei per studiare maggiormente la deportazione in Valdisieve, perché ci sono tanti campi che ancora non sono conosciuti come quello a Lipsia dove quattro uomini di queste zone sono morti”. Anche la scuola è importante e raccontare, spiegare e imporre nelle tra gli studenti lo studio di queste vicende è fondamentale, ma non basta. “È facile scaricare la responsabilità sulla scuola, ma i genitori riescono a parlare di questi argomenti con i figli o è più facile parlare della formula1 o del derby di calcio? A me fa impressione – sottolinea con una provocazione Gamberi – quando i genitori accolgono i figli tornati dai campi con la domanda ‘hai mangiato?’”
I tre impegni dell’amministrazione di Pontassieve. L’assessore Pasquini si è preso l’impegno di: riparlare e valorizzare il racconto dell’ultimo autore ma anche presentare la ricerca di una giovane dottoressa che ha fatto un volume che parla di Pontassieve tra le prime due guerre; tentare di ripubblicare il libro verificando la possibilità; coinvolgere le scuole e dal prossimo anno far andare Basilio Pompei nelle scuole a parlare con i ragazzi alimentando la conoscenza e il dovere civico.
Per concludere vogliamo sottolineare una bellissima lettera, toccante e significativa scritta da Anniek Cojean, un preside di liceo americano che aveva l’abitudine di scrivere, ad ogni inizio di anno scolastico, una lettera ai suoi insegnanti, che è stata letta all’incontro da Marco Grassi.
“Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi con veleno da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiore e università.
Diffido –quindi – dall’educazione. La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti.
La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani”.
Alcune immagini proiettate durante la presentazione del libro.
- La locandina dell’evento